Nel 1991 nel paese di Rezzoaglio, piccola comunità di montagna a 60 km da Genova, viene trovata una coppia di lupi morti, uccisi nei lacci da un bracconiere. É un avvenimento importante, tra i primi che segnano la progressiva ricolonizzazione dell’Appennino Ligure da parte di questo animale.
Al principio degli anni settanta del lupo italiano rimanevano circa 200 esemplari, confinati nell’Appennino centro-meridionale. Il carattere estremamente selvaggio di territori come le montagne della Marsica ha salvato il Canis lupus italicus, specie endemica della nostra penisola, dalla catastrofe. A partire da quell’esigua popolazione, in quarant’anni il lupo ha ricolonizzato tutto l’Appennino e gran parte delle Alpi, con una popolazione attuale stimata di 1500-3000 individui.
Il ritorno di questo grande predatore è una conseguenza diretta del grande cambiamento verificatosi nella società italiana: negli anni sessanta l’Italia si è trasformata da paese agricolo a paese industriale. Con il miracolo economico la popolazione lascia la vita da contadino e da allevatore nelle campagne per trasferirsi con la famiglia in città. Il famoso abbandono della montagna: oggi l’Appennino è costellato di paesi fantasma, che si animano per due settimane l’anno ad agosto, quando i discendenti degli eroici contadini migrano in fuga dal caldo afoso delle grandi città. Le regioni montane, non più governate e presidiate dall’uomo, sono state in poco tempo rivendicate dalla natura: dove fino a cinquant’anni fa c’erano pascoli e campi, ora ci sono fitte foreste. In questo ambiente nuovamente selvaggio sono tornati caprioli, cinghiali, cervi e naturalmente i lupi. Da vent’anni i lupi sono la mia ossessione. Da quando da ragazzino trovai le orme su un sentiero alle pendici di “Montarlù”, (“monte del lupo” nel dialetto dell’alta Val Trebbia) è incominciata una sfida per vedere un animale leggendario, che più di ogni altro scatena turbamenti nell’animo umano. Iniziai a muovermi silenzioso sui monti, all’alba e al tramonto, prestando attenzione alle tracce e ai racconti di cacciatori e fungaioli. Ci sono voluti dieci anni perché vedessi i miei primi lupi, due cucciolotti nell’erba alta sorvegliati a distanza dagli adulti. Da quel momento decisi che volevo conservare una prova di questi istanti mitici e tanto attesi, così iniziai ad appostarmi con una macchina fotografica. Sono diventato un fotografo di lupi. Prediligo i luoghi più selvaggi, dove la presenza umana è ridotta al minimo. Amo le radure e le praterie d’altitudine, tra le faggete e i boschi di abete bianco. Cerco un nascondiglio tra le rocce o i ginepri, attento alla direzione del vento per non tradirmi con il mio odore. Aspetto, immobile e in silenzio, per ore e ore, la stragrande maggioranza delle volte senza successo. “Cercare di fotografare un lupo sull’Appennino è come andare per funghi trenta volte e trovarne soltanto uno” dice il mio collega fotografo Nicola Rebora. Infatti il lupo è un animale estremamente elusivo. Sensi molto più sviluppati dei nostri, se immobile è praticamente invisibile grazie al manto mimetico; da millenni sa evitare l’uomo, attualmente il suo nemico principale. Maggiore è l’attesa e maggiore l’esaltazione dell’avvistamento. Vengo ripagato di tutto: la ricerca, le ore di attesa, il gelo delle limpide albe invernali e l’umido terrificante dei tramonti quando tira vento di mare e si viene sommersi dalle nuvole basse. Condizioni che spesso l’escursionista della domenica non sperimenta.
Nel 2007 in Val Penna, dove ho realizzato alcuni dei miei scatti migliori, è stato denunciato un bracconiere che da anni nelle osterie si vantava della sua collana di denti di lupo, formata dai canini di sette individui da lui uccisi in diversi modi. Questo è solo un esempio della tipologia di personaggi che popolano le montagne liguri. Lo storico greco Diodoro Siculo descrisse così le popolazioni dei Liguri dell’età romana: “Le donne hanno la robustezza degli uomini e gli uomini la robustezza e l’indomabilità delle belve”.
In queste zone il lupo non ha vita facile e gli episodi di bracconaggio non sono rari. Viene visto come un competitore dai cacciatori e come un grave danno dagli allevatori.
Più di una volta nei miei appostamenti ho avvistato bracconieri o trovato segni della loro presenza: in fondo agiamo in modo simile ed è normale che le nostre strade si incrocino. Passando ogni anno centinaia di ore nei monti, cerco nel mio piccolo di svolgere un’attività di presidio e vigilanza sul territorio, segnalando ogni attività sospetta. Le persone che mi sostengono, acquistando i miei libri o partecipando alle mie escursioni, quindi non stanno solo finanziando un fotografo freelance ma contribuiscono anche alla vigilanza antibracconaggio in questi posti estremi. Gli anni passano e la mia passione nel cercare, fotografare e documentarmi su questi splendidi animali non scema. Ho realizzato due libri fotografici (Lupi Estremi, 2017 e Incivili, 2018). Porto gli appassionati ad appostarsi con me. Insegno a cercare tracce, capire gli spostamenti e ad attendere con pazienza e umiltà. Non garantisco mai l’avvistamento: secondo me quel mitico incontro bisogna guadagnarselo da soli, io posso solo indicare la strada.